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TECAR®
La parola TECAR® è l’acronimo di Trasferimento Energetico Capacitivo Resistivo.
La TECARTERAPIA® è una terapia fisica innovativa, introdotta già da alcuni anni in Italia, che nasce dall’esigenza di strumenti terapeutici non invasivi che permettano un trattamento efficace per un recupero funzionale in tempi ragionevolmente rapidi, in patologie osteoarticolari e muscoloscheletriche.
Gli effetti biologici all’interno dei tessuti si ottengono grazie ad un trasferimento energetico.
Ciò che caratterizza la TECAR® è la modalità di trasferimento energetico: generazione di energia endogena, che si realizza attraverso il richiamo nell’area di trattamento di cariche elettriche presenti nei tessuti sotto forma di ioni. Il principio fisico sfruttato dalla TECAR® è quello del condensatore, che ha permesso di sviluppare una tecnologia capace di sollecitare il tessuto dall’interno, ottenendo una forte stimolazione a livello cellulare.
Questo meccanismo incrementa la temperatura interna e riattiva la circolazione, innescando precocemente i naturali processi riparativi.
Può essere quindi utilizzato un condensatore costituito da un’armatura metallica isolata (elettrodo mobile) collegata ad un generatore ad alta frequenza (0,5 MHz) e da un’armatura costituita dal tessuto biologico, che si comporta come un conduttore. Il passaggio di corrente si realizza attraverso lo spostamento degli ioni (flusso di cariche o correnti di spostamento) tra lo spazio intra ed extracellulare e viceversa.
Se si utilizza un elettrodo mobile rivestito di materiale isolante, nella zona trattata si avrà un richiamo ionico con attivazione metabolica ed effetto termico endogeno, in stretta relazione con le correnti di spostamento che dalla periferia si concentrano nella zona sottostante all’elettrodo mobile (contatto Capacitivo). Otteniamo quindi gli effetti biologici subito al di sotto dell’elettrodo.
Se l’elettrodo mobile utilizzato non è isolato (elettrodo Resistivo), le cariche si accumulano in prossimità delle zone tissutali a più alta resistenza (osso, strutture capsulo-legamentose) che diventeranno gli elementi isolanti (dielettrici) del sistema e su cui si avranno gli effetti biologici.
MODALITÀ CAPACITIVA E RESISTIVA
Lo strumento funziona con due diverse modalità: quella capacitiva e quella resistiva, attraverso due diversi tipi di elettrodi. Con l’elettrodo capacitivo, rivestito di materiale isolante ceramizzato l’azione viene concentrata nella zona muscolare e in generale sui tessuti molli e più superficiali; con l’elettrodo resistivo, non rivestito di materiale isolante, l’azione si sviluppa nei punti più resistenti dei tessuti (ossa, tendini, legamenti). Per entrambe le modalità capacitiva e resistiva è possibile lavorare a differenti livelli energetici, impostati dall’operatore a seconda della risposta biologica che si vuole ottenere.
LIVELLI ENERGETICI
Gli effetti biologici prodotti della Tecarterapia® nei tessuti sono differenti in funzione del livello energetico usato: basso, medio, alto.
La scelta del livello di trasferimento energetico a cui lavorare dipende dall’effetto che si desidera ottenere. Ad esempio, per ottenere una diminuzione del dolore, ossia un effetto sedativo-antalgico, bisognerà lavorare a livelli di potenza bassi, in atermia, come pure se la zona si presenta infiammata e gonfia per la presenza di un edema, per aumentare il flusso emolinfatico, favorendo il processo di riassorbimento ed una più rapida risoluzione. Lavorando ad alti livelli energetici si ottiene invece un miglioramento del trofismo muscolare e un rilassamento dei muscoli contratti grazie all’aumento della vasodilatazione sia superficiale sia profonda. La TECAR® produce una riduzione del dolore per azione contro-irritante o per liberazione di endorfine, un aumento dell’estensibilità del tessuto collagene per riduzione della viscosità, una riduzione degli spasmi e contratture muscolari per ridotte attività degli efferenti secondari, una più rapida e completa dissociazione dell’ossigeno dall’emoglobina con maggiore disponibilità, che si accompagna a riduzione dell’energia di attivazione di importanti reazioni chimiche metaboliche, una vasodilatazione con aumento del flusso ematico locale che contribuisce al rifornimento di ossigeno e di sostanze nutritive e alla asportazione di cataboliti, una velocizzazione del riassorbimento di raccolte emorragiche.
A bassi livelli energetici (50-100 Watt), pur non avendo dissipazione endotermica, si ha stimolazione ultrastrutturale cellulare, da cui consegue un aumento delle trasformazioni energetiche (produzione di ATP) e del consumo di O2. Da ciò deriva l’attivazione indiretta, per aumento delle richieste metaboliche del tessuto, del microcircolo arterioso, venoso e linfatico senza dilatazione dei grandi vasi.
A medi livelli energetici (100-200 Watt), oltre all’effetto biostimolante, si verifica un incremento della temperatura endogena dipendente dall’aumento dei moti browniani. Questo innalzamento termico stimola la dilatazione dei vasi di calibro maggiore aumentando ulteriormente il flusso ematico.
Ad alti livelli energetici (200-300Watt), risulta minore l’effetto della biostimolazione cellulare e maggiore, invece, l’effetto endotermico, con notevole aumento del flusso emolinfatico. Questi effetti permettono di ottenere complessivamente un recupero molto più rapido poiché si accelerano i fisiologici processi riparativi.
LETTERATURA
Per quanto riguarda la letteratura, i lavori realizzati sulla TECAR® applicata alle lombalgie sono solamente tre, ma per due di questi (Maria Perez Benitez e Jordi Fores Colmer, centro di medicina omeopatica biologica, Barcellona; A.Molina, B. Eschacho, M.V. Molina, Y S. Mariscal, Servizio di Riabilitazione, Ospedale Universitario di Valladolid, Barcellona), le informazioni riportate e il numero del campione è scarso per parlare di evidenza scientifica.
Dal settembre 2007 al novembre 2007, è stato condotto uno studio prospettico senza gruppo di controllo sull’efficacia del sistema TECAR® per il trattamento della lombalgia e lombosciatalgia croniche. Lo studio è stato condotto presso l’Azienda Ospedaliera Sant’Andrea per conto della U.O.C. di Ortopedia e Traumatologia, U.O.S. Medicina Fisica e Riabilitazione Facoltà La Sapienza.
Sono stati reclutati 20 pazienti (9 uomini e 11 donne) con un’età compresa tra 23 e 73 anni (media 41,95 anni); dei pazienti inclusi nello studio, 13 presentavano lombalgia cronica e 7 lombosciatalgia cronica. La sintomatologia dolorosa dei pazienti prima di essere sottoposti a trattamento con TECAR® ha avuto una durata media di circa 1 anno e 7 mesi (minimo 4 mesi, massimo 6 anni).
I criteri di inclusione dello studio prevedevano una diagnosi di lombalgia o lombosciatalgia cronica di origine meccanica, posta da almeno 2 mesi e corredata da esami strumentali (RX e RMN del rachide lombare), almeno sei mesi di sospensione da qualsiasi trattamento conservativo.
Il trattamento è stato effettuato con l’apparecchio Hcr 901 ad una frequenza di 0,5 MHz a una potenza regolabile fino ad un massimo di 300 Watt.
Il protocollo di trattamento prevedeva 10 sedute con applicazioni giornaliere di 30 minuti ciascuna. Tutti i pazienti hanno effettuato le 10 sedute e nessuno ha abbandonato lo studio.
Al paziente in posizione prona veniva posto un cuscino sotto l’addome per scaricare il tratto lombosacrale così da favorire l’allineamento della colonna. La piastra neutra veniva posta tra il cuscino e l’addome dopo essere aver applicato uno strato di specifica crema conduttiva.
Ogni seduta di trattamento era costituita da tre fasi in sequenza:
1) Trattamento Capacitivo
2) Trattamento Resistivo
3) Trattamento Capacitivo
1) La prima fase durava 8 minuti ed utilizzava la modalità capacitiva. L’elettrodo veniva applicato con movimenti circolari sulla superficie corporea che sottende ai muscoli paravertebrali, gran dorsale, quadrato dei lombi e trapezi. La potenza dell’apparecchio era regolata in moda da raggiungere un livello operativo moderatamente termico.
2) La fase successiva, della durata di circa 14 minuti, prevedeva l’utilizzo dell’elettrodo resistivo. L’elettrodo poteva essere mantenuto fisso o applicato con lenti movimenti circolari. Per i primi due minuti di questa fase il manipolo resistivo veniva mantenuto fisso a livello dorsale su D10-D12, invitando il paziente ad effettuare una respirazione lenta e controllata, lo scopo era quello di stimolare il diaframma per migliorare la funzione respiratoria del paziente. Successivamente l’applicazione veniva spostata sui corpi vertebrali del tratto dorso-lombare, sul tratto sacrale e sulle creste iliache, lavorando in particolar modo sulle inserzioni muscolari paravertebrali e del muscolo grande gluteo. Come per la prima fase capacitiva, il livello di temperatura ricercato era moderatamente termico.
3) L’ultima fase prevedeva nuovamente l’applicazione dell’elettrodo capacitivo con modalità simili a quelle della prima fase, mantenendo però il trattamento nelle zone trattate con la modalità resistiva, in modo da permettere la normalizzazione dei tessuti stimolati ed ottenere allo stesso tempo un più efficace effetto drenante.
Il giorno successivo all’ultima seduta di trattamento sono state chieste al paziente informazioni riguardanti la variazione il dolore tramite la valutazione Clinico-Soggettiva e la VAS.
È stato inoltre eseguito un Follow up a breve termine (1 mese).
RISULTATI
Per ciò che concerne la variazione della VAS, si ha una diminuzione statisticamente significativa già dalla fine del trattamento, con un ulteriore miglioramento della sintomatologia anche al Follow-Up successivo.
Per ciò che concerne la valutazione clinico-soggettiva, si è visto che la distribuzione Pre-trattamento era di 3 pazienti (15% del totale) Grado II, 10 pazienti (50% del totale) Grado III e 7 pazienti (35% del totale) Grado IV.
Nel Post trattamento la distribuzione era di 3 pazienti Grado 0, 5 pazienti Grado I, 5 pazienti Grado II, 6 pazienti Grado III, e 1 paziente Grado IV.
Nel Follow Up a 1 mese la distribuzione era di 2 pazienti Grado 0, 13 pazienti Grado I, 2 pazienti Grado II, 2 pazienti Grado III, e 1 paziente Grado IV.
Estremamente importante è la conoscenza dell’anatomia di una vertebra e il suo rapporto articolare con la vertebra sovrastante o sottostante.
In breve: la porzione anteriore e più massiccia di una vertebra tipo è il corpo vertebrale, con una forma complessivamente cilindrica; l’arco posteriore ha invece forma simile ad un ferro di cavallo ed è formato da peduncoli, lamine, apofisi spinosa e due apofisi trasverse.
Ogni vertebra si articola con la sovrastante e la sottostante grazie alle apofisi articolari e al disco intervertebrale. Quest’ultimo è costituito da una parte centrale (nucleo polposo) e da una parte periferica (anulus fibroso). Il nucleo si trova rinchiuso all’interno dell’anulus fra i due corpi vertebrali, funge da “snodo” ed è soggetto a diverse forze compressive.
COS’E’ UN’ERNIA DEL DISCO?
A partire dai 25 anni di età, le fibre dell’anulus fibroso cominciano a degenerare, si creano quindi delle fessurazioni tra le sue fibre, all’interno delle quali il nucleo, soggetto a delle forze compressive, può migrare e fuoriuscire.
L’ernia è quindi la fuoriuscita del nucleo polposo, attraverso delle fessurazioni dell’anulus, al di là delle limitanti somatiche e si distinguono in:
– Ernia intraspongiosa: ernia che alloggia all’interno della spongiosa (parte spugnosa e interna dell’osso) delle vertebre;
– Ernia radiale: ernia che “scivola” posteriormente, anteriormente o lateralmente. Queste ernie, a seconda di dove si trovino, possono essere
– unite al nucleo e contenute dal legamento longitudinale posteriore;
– “espulse” (perforano il legamento e possono migrare oppure rimanere bloccate sotto il legamento mentre le fibre dell’anulus si sono richiuse);
– migranti sotto-legamentose (ernia che scivola verso l’alto o verso il basso all’interno del legamento longitudinale posteriore).
COME NASCE UN’ERNIA DEL DISCO?
Il meccanismo patogenetico dell’ernia del disco ha, come abbiamo già detto, una causa latente, un substrato patologico, causato dalla disidratazione conseguente all’età e a microtraumi ripetuti.
Altre concause, come ad esempio il sollevamento di un peso, agiscono in tre tempi:
1° – Flessione in avanti del tronco: il nucleo polposo viene “spremuto” posteriormente attraverso le fessure preesistenti dell’anulus;
2° – Con lo sforzo del sollevamento e il conseguente aumento della pressione sul disco, il nucleo viene violentemente spinto posteriormente fino a raggiungere il legamento longitudinale posteriore;
3° – Con il raddrizzamento del tronco si chiudono tutte le fessure dell’anulus attraverso le quali è passata la sostanza nucleare, che rimane intrappolata sotto il legamento longitudinale posteriore.
SINTOMI
La massa erniaria può provocare una sintomatologia clinica quando si genera un conflitto con una radice di un nervo rachideo.
All’interno dei forami di coniugazione delle vertebre passano i nervi periferici, che fuoriescono dal midollo spinale e si proiettano in periferia, innervando muscoli, cute, articolazioni, tendini e tanti altri organi e tessuti. A questo livello un’ernia può fuoriuscire a tal punto da diminuire lo spazio di scorrimento, andando così a comprimere il nervo e la sua radice, generando una sintomatologia caratteristica ma diversamente localizzata a seconda della radice coinvolta.
Nel caso in cui siano compresse le radici nervose del nervo femorale (L2, L3, L4), ad esempio, si scatenerà una lombocruralgia. Nel caso in cui sia invece compressa una radice del nervo sciatico (L4, L5, S1, S2, S3) sì scatenerà una lombosciatalgia.
I sintomi sono neurologici periferici, in altre parole:
– alterazione della sensibilità: formicolii, perdita parziale o totale della sensibilità cutanea, dolori riferiti;
– disturbi motori: alterazione dei riflessi, paralisi periferica muscolare, debolezza, difficoltà nei movimenti.
Dott. Simone Ciancarella Fkt.